Libri e generi di conforto


Capitano, per forza di cose, quei periodi in cui continui stress si intervallano a continui impedimenti; in cui da una sfiga si passa all'altra, e nel farlo ci si immerge in una pozzanghera fino alle ginocchia. Capita, è la vita. Sono brevi fasi in cui il karma ti mette alla prova per vedere se riesci ad augurare una buona giornata al panettiere anche se la tua è iniziata con la nuvola di Fantozzi sulla testa.
Passano, eh. Poi passano.
Ma non per questo c'è bisogno di trascorrerle senza generi di conforto; nel caso specifico, e per via del tema precipuo del suddetto blog – che gestissi una testata di cucina, consiglierei i miei biscotti con le gocce di cioccolato, – vado a elencare quei libri che hanno saputo darmi conforto in qualsiasi situazione. Certo, quello che funziona per me potrebbe non funzionare per altri. Anzi, per molti. Diciamo che più o meno un 7% di lettori potrebbe trovare utile il mio contributo, ecco.
Per diversi anni i miei libri di conforto sono stati prevalentemente di genere fantastico; J.K. Rowling, Terry Pratchett, Walter Moers, un sacco di Neil Gaiman e Diana Wynne Johnson.
Inizio da Terry, dal buon Pratchett e dal suo Mondo Disco, quell'universo bizzarro in cui ambienta (quasi) tutti i suoi romanzi, in cui una Tartaruga gigante solca lo spazio, con tre elefanti che le ruotano sul carapace e un piatto disco ne sormonta le schiene. Ecco, quel disco è la Terra. Solo che è un disco. Potrei segnalare le numerose saghe di Terry ambientate nel Mondo Disco – la sua Commedia Umana – ma mi limito alle tre più apprezzate da me (la serie delle Streghe e quella di Tiffany) e da tutti i miei amici adoratori di Pratchett (il ciclo della Guardia cittadina).
Oh, non so che farci, per me Un cappello pieno di stelle e La corona di ghiaccio (secondo e terzo libro del ciclo di Tiffany) sono dei capolavori. Ho ancora i brividi a distanza di anni all'urlo dell'Invernaio.
Segnalo anche un romanzo singolo che mi ha fatto schiantare dalle risate sulla fama e sul mondo dello spettacolo, Stelle cadenti. Un romanzo con almeno MILLE ELEFANTI!
(È una citazione. Capirete poi).
Per Moers, parto da quello che mi è piaciuto di meno, Le tredici vite e mezzo del capitano orso blu. Lo cito perché è piaciuto moltissimo a diversi lettori fidati di mia conoscenza, ma a me non aveva preso granché. Non fosse stato per l'anima meravigliosa che mi ha regalato poco dopo L'accalappiastreghe, forse non l'avrei più considerato come autore. E dopo L'accalappiastreghe, che parla del sodalizio tra un gatto e un alchimista che vuole trarne il grasso per farne un ingrediente, è stato il momento di Rumo, ramingo croccamauro avventuriero. In un mondo finzionale abitato da esseri assurdamente bizzarri, nel senso migliore che si possa concepire. E poi La città dei libri sognanti, un'immensa celebrazione all'amore per la lettura e per tutto ciò che è strano e storia. Anche lui, come Pratchett, ha creato un universo finzionale in cui ambienta una buona fetta della sua produzione, e tutti i titoli che ho citato, Zamonia.
Neil Gaiman è tuttora il mio autore preferito, ma qui mi viene da consigliare nello specifico due libri: Stardust, che ho riletto da poco dopo quasi dieci anni, e che ho riscoperto meraviglioso, e Nessun dove, un romanzo che da sempre adoro, e che sento intensamente mio. Il primo narra di una stella che si è persa sulla Terra, e del viaggio che deve compiere insieme a un ragazzo, è una favola che si macchia talvolta della crudeltà di alcuni personaggi, ma che mantiene un tono fiabesco, che mi ricorda quando da bambina scendevo in giardino a cercare le fate sotto le corolle dei fiori.
(avrò avuto quattro-cinque anni, eh).
Il secondo è di un fantastico pervaso però da una spietatezza di fondo. Un tizio che si ritrova invischiato suo malgrado in problemi troppo grandi con forza troppo grandi, a Londra di Sotto, tra divinità e becera, antichissima fattuccheria.
Arriviamo a Diana Wynne Jones, e qui rimando immediatamente alla trilogia iniziata col Castello errante di Howl (da cui è stato tratto l'omonimo film dello Studio Ghibli) e proseguita con Il castello in aria e La porta per Ogni dove. Il primo è imbattibile, certo, ma anche gli altri non scherzano. Stupenda pure la saga di Chrestomanci; maghi, streghe, bizzarri agglomerati familiari, equilibrio del mondo, qua e là contesti dittatoriali e inquietudine... cose che meritano, insomma.
Per quanto riguarda J.K Rowling, dubito sia il caso di consigliare apertamente Harry Potter. E dai.
Questo per quanto riguarda il fantastico che, come dicevo, per anni è stato il mio primario genere di conforto. Ho notato, tuttavia, che negli ultimi anni, in periodi particolarmente maligni tendo a rivolgermi ai classici inglesi. Non saprei dire per quale motivo; sarà l'ambientazione rilassante, il fatto che ormai la conosco come le mie tasche, sarà che erano tempi più quieti, sarà lo stile. Non saprei dire perché, ma quando la testa mi brucia, mi rivolgo oggi più a Jane Austen che a Terry Pratchett. Chiacchiero spesso qui di zia Jane, e cito giusto qualche vecchio post qui e qui. Il mio romanzo preferito all'interno della sestina eletta rimane Emma, ma è breve la distanza che lo separa da Orgoglio e pregiudizio e da Ragione e sentimento.
La mia sorella Bronte, Charlotte. Adoro Jane Eyre, che sto rileggendo per la prima volta – un giorno mi spiegherò meglio –, e Villette, forse il mio preferito.
Elizabeth Gaskell, soprattutto Nord e Sud – avete visto la serie BBC? - e Mogli e figlie.
George Eliot, e i meravigliosi Il mulino sulla Floss e Middlemarch.
Frances Hodgson Burnett, autrice resa celebre da Il giardino segreto, di cui ho apprezzato assai di più la produzione al di fuori della letteratura per l'infanzia. Un matrimonio inglese, L'imprevedibile destino di Emily Fox-Seton e La vita inusuale di T. Tembaron.
Il caro William Makepeace Thackeray, con il suo celeberrimo La fiera delle vanità, e di cui ancora devo leggere Le memorie di Barry Lyndon – e onestamente non vedo l'ora.
I titoli non mancano, vedete bene. È anche vero che i classici prima o poi finiscono, per forza di cose, non si tratta di una produzione aggiornabile. Ma, tralasciando quanto sia dopotutto difficile arrivare all'ultimo dei classici inglesi, è ben possibile che per allora il mio genere di conforto sia mutato di nuovo. Che come sono passata dal fantastico alla letteratura inglese, io mi rivolga tra un paio d'anni al noir americano anni '30-'40, o alla poesia russa o a chissà che altro ancora.
Tutto ciò che posso dire con questo post, decisamente troppo lungo e visibilmente raffazzonato, un agglomerato di titoli in lista svolta più emotivamente che razionalmente, è che i libri ci sono.
Ci aspettano, e qualche volta ci abbracciano.